Internazionale (Italiano): Il disastro lasciato dai mercenari della Wagner in Centrafrica
Internazionale – 28 ottobre 2021
Quando ad Alindao, nel sud della Repubblica Centrafricana, sono arrivati i combattenti russi pieni di tatuaggi, i ribelli si sono dati alla fuga e la popolazione ha potuto finalmente festeggiare. “Erano bianchi. Erano enormi”, racconta Fatima, 32 anni. “I russi avevano un aspetto strano, e tatuaggi ovunque: serpenti, teschi, teste umane… Ma erano lì per aiutarci”.
Presto, però, dai villaggi vicini sono arrivate storie di saccheggi e torture, uccisioni e stupri commessi dai presunti salvatori. Un giorno di settembre di quest’anno il fratello di Fatima è stato prelevato da casa con la forza. Poi è toccato a lei: l’hanno portata in una base militare dove, racconta, l’hanno stuprata in tre fino a farle perdere conoscenza. “Facevano paura. Eravamo tutti terrorizzati”, racconta Fatima. “Pensavamo fossero venuti a riportare la pace. Ora vorrei che non fossero mai arrivati”.
I mercenari che hanno attaccato Alindao lavorano per una rete di compagnie legate al Cremlino, il gruppo Wagner, che ha aiutato il presidente centrafricano Faustin-Archange Touadéra a respingere l’avanzata dei ribelli e a salvare il suo governo. Lo affermano fonti diplomatiche, interne ai servizi di sicurezza, a organizzazioni umanitarie e dell’opposizione centrafricana. Gli Stati Uniti sostengono che Evgenij Prigožin, noto come lo “chef” del presidente russo Vladimir Putin, finanzi la Wagner, un’accusa che lui respinge. Secondo alcune fonti il gruppo ha tremila combattenti nel paese africano. La Russia ammette solo di aver inviato 1.100 addestratori militari non armati, in base a un accordo tra Mosca e Bangui firmato nel 2018.
Grazie a questo spiegamento di forze, la Russia ha trovato un punto d’appoggio nella regione, approfittando del risentimento diffuso verso la Francia, l’ex potenza coloniale. Vorrebbe fare lo stesso in altri paesi africani, come il Mali, che è altrettanto irrequieto. Allo stesso tempo, però, Mosca si è attirata accuse di violazioni dei diritti umani in sede di consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. In ogni caso, la mancanza di legami ufficiali tra il governo russo e il gruppo Wagner permette al Cremlino di negare l’evidenza.
Un laboratorio
Con la sua lunga storia di instabilità, colpi di stato e ribellioni armate, la Repubblica Centrafricana è, per usare le parole di un diplomatico di Bangui, un “laboratorio perfetto” per il gruppo Wagner. Lì può “mostrare quello che è in grado di fare per vendere i suoi servizi in altri paesi” che vogliono annientare delle insurrezioni interne. Secondo alcuni esperti, Mosca potrebbe anche riconquistare parte di quell’influenza che esercitava in Africa ai tempi della guerra fredda, proponendosi come antagonista dell’occidente a costi finanziari e politici molto bassi.
Nel corso delle loro operazioni i mercenari della Wagner sono riusciti a prendere il controllo di aree dove si trovano miniere d’oro e di diamanti, hanno preso di mira le minoranze musulmane e di etnia peul, e si sono scontrati più volte con la Minusca, la missione delle Nazioni Unite formata da quindicimila caschi blu. “Hanno cambiato del tutto la situazione sul campo”, ha affermato a Bangui una persona che lavora nel settore della sicurezza. “È un ambiente ideale per operare: lo stato è assente e un governo debole, che stava cercando una via d’uscita, l’ha trovata in questi mercenari”.
Rispondendo per iscritto alle domande che il Financial Times aveva inviato alla società di catering di Prigožin, Alexander Ivanov, direttore dell’Unione degli ufficiali per la sicurezza internazionale, ha affermato che nella Repubblica Centrafricana “non c’è un gran numero di mercenari russi” e che gli istruttori russi che il Cremlino dice di aver inviato non sono stati coinvolti nei combattimenti né in attività commerciali.
Le autorità maliane temono che il ritiro francese potrebbe rendere il paese più insicuro e quindi cercano altri partner
Il gruppo Wagner ha trovato clienti in tutta l’Africa, dal Mozambico al Madagascar, dal Sudan alla Libia, dove le Nazioni Unite hanno accusato il gruppo di possibili crimini di guerra. Il prossimo cliente potrebbe essere il Mali, un’altra ex colonia francese, la cui giunta militare vorrebbe avere a disposizione mille paramilitari della Wagner, dopo che la Francia avrà ritirato la metà dei cinquemila soldati impegnati contro l’insurrezione jihadista nel Sahel. Le autorità maliane temono che il ridimensionamento della presenza francese potrebbe rendere l’area più insicura e quindi cercano “altri partner”.
L’esperienza della Repubblica Centrafricana fu simile: Bangui si rivolse alla Russia quando la Francia ritirò le sue truppe dopo una missione triennale che non era riuscita a fermare una sanguinosa guerra civile. La reputazione francese nella Repubblica Centrafricana – e nelle altre ex colonie tra cui il Mali – è così bassa che perfino chi condanna la presenza dei russi riesce a vedere dei lati positivi. “Sono felice che l’influenza francese si sia ridimensionata e stia diminuendo ancora di più”, afferma Gervais Lakasso, un artista e attivista di Bangui. “È una delle cose che hanno reso più popolare il presidente Touadéra”.
La presenza russa è ben visibile a Bangui, dove uomini in uniforme vanno in giro a bordo di veicoli militari corazzati. Questi combattenti sono incaricati della sicurezza personale del presidente, che da tempo ha preso come consulente Valerij Zakharov, ex funzionario dei servizi segreti russi. Eppure il primo ministro Henri-Marie Dondra nega la presenza di mercenari. “Non abbiamo firmato contratti con compagnie private, abbiamo un contratto con la Russia”, ha dichiarato. “È un accordo di cooperazione bilaterale molto chiaro”. A quanto ne sa, “non ci sono altre forze presenti” oltre a quelle russe, a quelle dell’Onu e a quelle ruandesi, anch’esse presenti nel paese in base a un accordo bilaterale.
Il ministero degli esteri di Mosca ha dichiarato che i suoi istruttori stanno operando legalmente nella Repubblica Centrafricana e hanno contribuito a un “significativo aumento della capacità bellica dell’esercito nazionale, che risulta evidente dalle numerose perdite inflitte ai gruppi armati”. Tuttavia Sorcha MacLeod, che fa parte del gruppo di lavoro sui mercenari del consiglio per i diritti umani dell’Onu, sostiene che i russi e altri stranieri a loro affiliati “siano coinvolti in violazioni dei diritti umani e forse in crimini di guerra”.
“Ovunque ci siano stati abusi, non appena il governo ne viene a conoscenza, avvia un’indagine”, ha affermato Dondra, precisando che nella maggior parte dei casi i colpevoli sono i gruppi armati. A settembre il suo governo ha ammesso per la prima volta che gli istruttori russi avevano commesso delle violazioni dei diritti umani. Ma il ministero degli esteri russo nega: “Se le insinuazioni sulle atrocità commesse avessero un fondamento e la popolazione locale stesse protestando, difficilmente i leader centrafricani avrebbero richiesto l’invio di altre unità di specialisti dalla Russia”.
Secondo funzionari stranieri, esponenti dell’opposizione e della società civile, il governo di Bangui è, per un verso o per l’altro, ostaggio del gruppo Wagner, da cui dipende per mantenere la sicurezza e il potere. “Il governo ha fatto un accordo e ora non sa più come gestirlo”, spiega un funzionario straniero a Bangui. “Non riesce a controllarli”. Non è chiaro neanche come i russi siano retribuiti per i loro servizi.
Alcune imprese legate al gruppo Wagner, tra cui la Lobaye Invest, sottoposta a sanzioni dagli Stati Uniti, hanno preso d’assalto il settore minerario della Repubblica Centrafricana. Secondo alcuni esponenti dell’opposizione e funzionari stranieri, è uno dei modi che Bangui usa per ricompensarli. Poiché i donatori internazionali, guidati dall’Unione europea e dalla Banca mondiale, forniscono più o meno la metà del budget annuale complessivo di 400 milioni di dollari del paese, “non possiamo escludere che parte dei contributi internazionali sia usata per pagare queste persone”, osserva un funzionario straniero di Bangui. “In un certo senso l’Unione e la Banca mondiale pagano i mercenari: una posizione piuttosto scomoda”, commenta un altro diplomatico.
A detta di Ivanov, gli istruttori russi non “c’entrano niente con il controllo delle miniere di oro e diamanti”. Secondo i mezzi d’informazione del gruppo Patriot, che fa capo a Prigožin, la Lobaye Invest lavora legalmente nella Repubblica Centrafricana e chi insinua che le forze russe siano pagate con i soldi dei donatori occidentali “dovrebbe essere denunciato per diffamazione ed espulso dalla Repubblica Centrafricana”.
Senza legge
Il 30 maggio 2021 Denise Brown, la numero due della Minusca, voleva visitare un’area vicino al confine con il Ciad per indagare su presunte violazioni dei diritti umani compiute dall’esercito centrafricano. In un rapporto dell’Onu si legge che “forze di sicurezza di entrambi gli schieramenti e altre unità hanno impedito l’accesso alla delegazione di Brown”. Quattro fonti a conoscenza dei fatti hanno raccontato che quando la squadra di Brown è atterrata con l’elicottero i paramilitari russi gli hanno puntato contro i loro Ak-47, a riprova dell’impunità con cui operano nel paese. “È un’indecenza”, afferma un funzionario esperto di sicurezza di Bangui. “Non ci sono regole. Quello che avviene qui non succede da nessun’altra parte”.
Ivanov risponde di non sapere nulla dell’incidente, ma suggerisce che Brown forse non aveva informato il ministero della difesa “a causa della sua ignoranza” delle leggi del posto e che “il volo non autorizzato poteva essere interpretato come una minaccia mortale” dalle truppe sul terreno. Diplomatici e operatori umanitari a Bangui sostengono che è solo questione di tempo prima che le schermaglie tra i russi e la Minusca si trasformino in violenze vere e proprie.
Nel frattempo i civili pagano il prezzo più alto. A Pk5, il quartiere musulmano di Bangui, non è raro trovare vittime della brutalità dei russi. Ogni giorno ne arrivano di nuove da altre parti del paese. “Abbiamo vissuto ribellioni di ogni genere, per mano di diversi gruppi armati, ma dopo l’arrivo dei russi le cose sono peggiorate”, racconta un imam di 66 anni originario di Bria. “È un caos totale, non avevamo altra scelta che scappare”.
I mercenari gli hanno rubato i 6 milioni di franchi cfa (9.100 euro) che aveva messo da parte e hanno preso tutto ciò su cui riuscivano a mettere le mani: abiti usati, taniche, bottiglie d’acqua e oggetti di proprietà di alcune tra le persone più povere della terra. “A cosa gli serviranno i nostri vecchi pantaloni?”, si chiede l’imam.
“Quando sono arrivati ero molto felice, lo eravamo tutti. Finalmente le sofferenze che ci avevano inflitto i ribelli stavano per finire, perché i russi erano venuti ad aiutare il governo e a salvarci”, ammette. “Alla fine però abbiamo capito cosa stavano facendo davvero… E siamo scappati per salvarci la vita”.